Gli articoli si guardano, le fotografie si leggono (Arrigo Benedetti)







mercoledì 7 marzo 2012

Lucian Freud Portraits. Vita e Istinto



Appare come un macellaio, nelle prime immagini del filmato, girate pochi giorni prima della sua morte. Grembiule sporco di colori, con in mano pennello e tavolozza al posto dell’ascia. Parla dolcemente al suo cane mentre con la sicurezza di uno scuoiatore di cervi, dipinge come per solcare la tela e, nella tela, volto e corpo dei suoi modelli. Pareti e pavimento, e gli infissi, gli stracci e il materasso accantonati per terra, tutto è imbrattato di pittura. Dipinge con gli occhi sbarrati, come ad afferrare voracemente lo spazio che quegli occhi osservano. Una delle sue modelle dice che nei momenti più intensi, mentre dipingeva, ansimava come un animale in gabbia, come in un amplesso. Era elettrico, ogni cosa che lo riguardava era elettrica.
La prima parola pronunciata da bambino fu “alàun” che significava “alone”. Per la maggior parte della sua vita Lucian Freud è stato pressoché invisibile al mondo.
Circa duecento donne, mai bugiardo con nessuna, testimonia il figlio. Forse quaranta i figli, riconosciuti almeno quattordici. Odiava costrizioni e doveri, adorava i cavalli, mai si separava dal suo levriero whippet . La sua vita era il suo studio e la sua casa, lì riceveva le persone per ritrarle nelle sue tele: “lavoro per le persone che mi interessano, di cui mi prendo cura, nelle stanze in cui vivo e che conosco”. Raramente ha dipinto su commissione, i lavori registrano le sue relazioni (strettamente) personali e private, il tempo speso in quelle stanze, con quelle persone. Entrava nella forma, nelle pieghe dei volti, impietosamente. Descriveva con dettaglio tenero e violento, corpi, cose, coperte, lampade, vestiti, animali e amanti; sua madre, i disegni cachemere sul vestito che indossava, o le figlie. Nelle tele l’atmosfera, la stanchezza delle pose interminabili, è tattile. Dichiarava che il suo svago preferito era sognare ad occhi aperti. Amava farlo nel tempo libero, ancora a 79 anni.
C’è una foto in cui si fa la barba. Il pennello è uno dei suoi da pittura, testa tonda e manico venti, fissa l’obbiettivo come a dire “E allora?”.
Nella foto con Kate Moss è a letto in uno strano abbraccio: lei occhi chiusi, appagata del paradiso in terra, lui sguardo fisso lontano, la mano sinistra chiusa a pugno. A me sembra la rabbia della fine. Di lei dirà che ha “un corpo intelligente”.
L’ultimo dipinto è dedicato al suo amico assistente David Dawson e al suo cane. Le parti vuote, incompiute, sono lo spazio sospeso del giorno in cui muore. Nel ritmo delle pennellate si legge la traccia di una energia avida di conoscenza, intatta fino all’ultimo istante.
Davanti ad alcune tele la Bellezza del brutto è insopportabile, ti prende allo stomaco, lancinante da non riuscire a distogliere lo sguardo. Senti il suo tormento, la ricerca spasmodica di conoscere le persone e le cose che sceglieva come destinatario delle sue cure, esclusive.
Non riesci a distogliere lo sguardo, affonda nelle lacrime.










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