Gli articoli si guardano, le fotografie si leggono (Arrigo Benedetti)







venerdì 29 settembre 2017

Neave Brown il Maestro Royal Gold Medal 2018

Neave Brown il visionario, cocciuto e controcorrente, pioniere del social housing, vince la Royal Gold Medal 2018. 
Auguri Mr Brown, ci vediamo ad Alexandra Rd!
PHOTO CREDITS @ STEFI ORAZI 
Alexandra Road è vicino ad Abbey Rd ma non c’entra niente con gli Studios e le strisce pedonali più fotografate dagli anni Sessanta. Non c’entra niente, ma dopo la foto ricordo in marcia, stile Beatles, val la pena farsi un giro qualche isolato più su, per conoscere un cluster urbano estremo, di estremo interesse e capire come funzionavano le cose, proprio in quei Sessanta, quando si metteva mano al problema del social housing, una ricerca in cui Londra e il Regno Unito sono pionieri da sempre. Nello stesso periodo Patrick Hodgkinson realizzava The Brunswick Centre a Bloomsbury, Erno Goldfinger progettava la Balfron e la Trellick Tower, e un po’ prima Lubetkin realizzava Sivill House e Hallfield Estate.


Alex – così la chiama chi ci abita – è come un canyon di cemento, una strada in curva tra due quinte scalari a ziggurat, che connette Loudoun Rd con Abbey Road. Ci vivono 1660 persone, distribuite in 520 alloggi, disposti su due enormi crescent paralleli. Si presenta come un continuum binato di case a schiera terrazzate, rispettivamente su tre e quattro livelli di altezza massima, che si guardano l’una con l’altra, creando un percorso in mezzo, il canyon di Rowley Way lastricato in mattoni color cotto. 

L'insolito impianto in curva, nasce da un’esigenza funzionale di partenza: lì vicino corrono i binari ferroviari e bisognava proteggere l’insediamento da rumori e vibrazioni. I blocchi a schiera continui sono orientati in modo da alzare una vera e propria barriera muraria verso il fascio di binari. Da quel lato, il volume cieco è proteso a sbalzo, come il retro degli spalti di uno stadio. Spalle ai binari, lo schema geometrico si apre all’interno e genera la traccia leggermente ricurva cui si accosta il volume gemello. 

L’idea di Neave Brown1 per Alex Road era sperimentare il principio della terrace inglese in insediamenti popolari ad alta densità e scala gigante, per dare riscatto all’edilizia sociale in termini di qualità e vivibilità. Il progetto era ispirato ai principi moderni dell’abitazione collettiva: viabilità e parcheggi separati dai percorsi pedonali soprastanti, negozi, laboratori, scuole e assistenza per diversamente abili, centro per i giovani, mensa, parchi e pubblico spazio aperto. Una città insomma, bastevole a se stessa, con i comforts dei ricchi, ma per la classe operaia. La realizzazione parziale – e la cattiva gestione – mostrano invece come a volte le sorti della buona architettura possano andar male, o precipitare del tutto. I lavori durarono dal ’68 al ’78 e furono lunghi e costosi, da far arretrare più volte il Council dalle posizioni iniziali.

Alla vista Alex è forse un po’ alienante, il grigio muffa del cemento che mai ha visto manutenzione è sgradevole, respinge, ma camminare su Rowley Way dà anche un senso immediato di “domestico”. Il modulo abitativo si ripete con alcune interessanti variazioni formali sul tema. Nell’uniformità di ritmo e spazio, che rende apparentemente tutto uguale, emerge comunque a ogni porta la personalità di chi ci abita.

Passeggiando si sente spiattellare in cucina o le percussioni a volume 20 di musica jamaicana, qualcuno che canta seduto sulle scale all’ingresso. Doveva essere bella Alex Road appena nuova, brillante di bianco.

Dopo un periodo funesto, in cui Alex era considerata poco più che un ghetto, gli appartamenti di Rowley Way cominciano a diventare trendy, per hipster e appassionati, grazie anche all'egregio lavoro di The Modern House. Il progetto degli interni è eccellente, la luce gli spazi, gli interni, tutto parla ottima architettura, confortevole, calda, come raramente il Moderno ha saputo fare. Non ci sarà forse privacy, ma c’è quiete, e forse s’impara a vivere civilmente insieme agli altri: gli unici che sbirciano dentro, attraverso le finestre aperte o illuminate, sono i visitatori curiosi, non di certo gli abitanti di Alex.

NEAVE BROWNNewyorkese, dopo il servizio militare si trasferisce a Londra e si laurea alla AA, Architectural Association. Si forma su un’idea franca e ottimista di un’architettura mai ipocrita, che sarà la corrente del Brutalismo sperimentata in quegli anni. Fin da ragazzo coltiva l’interesse per l’arte con dipinti e carboncini sul tema del paesaggio e del figurativo. Nel 2004, a 75 anni, prende il Diploma in Fine Art and Painting alla City & Guilds School of Art.

Spirito libero, Neave Brown sfoggia ancora oggi una personalità aperta e brillante. Abile conversatore, ti trascina con una risata, come quella volta al telefono, quando gli dissi che amavo Alex Road.







 











mercoledì 27 settembre 2017

L’estate più glamour del V&A. Il museo che continua a stupire

A pochi mesi dall'inaugurazione del nuovo ingresso sulla Exhibition Rd, a firma AL-A Architects di Amanda Levete ecco annunciato un nuovo progetto opera di un'altra grande firma londinese. Apre oggi, solo per gli iscritti, la nuova sala membership del museo V&A di Londra.  


Carmody Groarke ha trasformato uno spazio galleria all'ultimo piano del colonnato Ashton Webb, in un ambiente dedicato agli ospiti iscritti, per eventi, cene, musica e quel che vorranno. L’idea architettonica nasce da un continuum evidente con il ritmo e il linguaggio spaziale del museo. Il lavoro è fatto di restauro intelligente, manutenzione e adattamento creativo dello spazio esistente, grazie ad un mix sapiente tra elementi architettonici ripescati ed altri reinventati. La maestosità della galleria emerge in tutta la sua presenza grazie al design attento a proporzioni e rapporti spaziali. L’illuminazione e il disegno su misura degli arredi creano piccoli spazi-stanza protetti all’interno del grande open plan in modo da lasciare intatta la percezione della galleria nella sua interezza.
Con un piccolo artificio il livello del piano è stato rialzato di quasi mezzo metro, in modo da ottenere l’affaccio comodo dalle finestre esistenti, sul cortile Sackler, cuore del V&A, definito dalla Galleria Sainsbury, dalla Exhibition Rd appena rimodernata e dalla sala Blavatnik.
Le grandi installazioni a specchio amplificano l'energia e l'attività all'interno della grande sala, creano nuove prospettive dentro-fuori e tra livelli diversi all'interno del museo, attraverso un vano immaginario fatto di luce morbida, che collega virtualmente le gallerie ai vari piani.
Attenzione speciale ai dettagli d'arredo, progettati in esclusiva per V&A da Carmody Groarke danno carattere e nuova identità all’ambiente in una miscela tra materiali antichi come il marmo e materiali lussuosi come la pelle di rivestimento delle sedute, in un alternarsi di contrappunti tra aree formali e informali all'interno della stessa sala. Il raccordo con la galleria originale è affidato ad una parete in vetro scorrevole.
Il punto centrale della sala è un grande, monolitico bar terrazza, pensato e realizzato in perfetto stile Carmody Groarke, maestri dell’interpretazione contemporanea del bianco. Una scala in marmo di forma scultorea, rimanda alle modanature del soffitto soprastante. C’è un ricco accumulo di dettagli e riferimenti di progettazione - della tradizione e dell'invenzione - l'intenzione sembra quella di creare uno sottofondo sottile ma atmosferico dove sentirsi benvenuti, accolti e ispirati. L'effetto sembra riuscito.



















martedì 26 settembre 2017

Di certe gite a Londra

Mini tour a Londra dalle nove alle cinque (con english tea incluso)



Spiace leggere certe pillole di assurdità ad alto quoziente di sottovuoto spinto su una testata come Viaggi24. 
Va bene l'ispirazione letteraria, va bene anche l'immaginario, ma forse non è più tempo per i pour-parler senza sostanza. 

Nulla si tiene in un articolo così. A cominciare dalla sveglia alle 5 del mattino: per partire alle 7.25, alle 5 dovrei forse trovarmici in aeroporto, dunque dovrò svegliarmi almeno alle 4. Si consigliano voli da Roma, Bologna e Milano, dovrò muovere da casa almeno mezz'ora prima di quelle due ore di anticipo, forse se metto la sveglia alle 3.00 posso ancora farcela. 

Nulla si tiene, a cominciare dall'improbabile ombrello. Per chi conosce Londra l'oggetto è ormai in disuso da inizi '900. Se vuoi riconoscere un italiano aggirarsi per strada a Londra, oltre che dalle hogan o dal piumino, gli troverai in mano un ombrello al minimo accenno di pioggia spray o shower, quella che gli inglesi prendono per normali condizioni meteorologiche. E poi cosa mi porto un peso in più, per 10h di corsa formula1 in modalità turistica. 

Nulla si tiene, a cominciare dal programmare attività (ansia di), fino a 4 si suggerisce, alcune delle quali da sole, richiederebbero ore di calma. Improbabile tanta attività, dopo una sveglia alle 5 (hops alle 4, hops alle 3) dopo 2h di attesa in aeroporto, ingresso controlli e almeno mezz'ora di treno per arrivare in città. Prima delle 10.30 difficile trovarsi seduti a far colazione da St. John a Spitafield, facciamo le 11 va'. 

Nulla si tiene. A cominciare dallo spettacolo al Globe: potrò mai alzarmi alle 4/5 di mattina (hops alle 3) per andarmi a sedere al teatro più turistico e fasullo di Londra? Perché no, un posto in piedi a 5 sterline dopo la levataccia alle 5 (hops alle 3) del mattino. O farmi strapazzare da un gommone che impenna sul Tamigi, come turismo convenzionale conviene, mani avvinghiate alle barre, giubbotto arancio, fischietto incluso, vento e spruzzi delle limpide acque torbide in faccia? 

Si può mai riuscire a trovarsi alle 14.30 al bar dello Shard per l'after noon tea? Non sarà un po' prestino? Ho ancora il bacon toast dell'english breakfast nelle vene. Se tutto m'è andato liscio, sono uscita dal St. John alle 11.30, ho raggiunto il fiume alle 12.00 sono andata a vedermi Shakespeare alla matineé dell'una e magicamente dal Globe ho fatto un volo in idrovolante sul Tamigi. Cavolo ma ho i superpoteri! E come faccio a trovarmi a Heathrow alle 16.30 due ore prima del volo, dovrò lasciare London Bridge almeno un'ora prima, ovvero alle 15.30. Scendere dal 35mo dello Shangri-La richiede almeno 10mn, calcolando attese e movimenti ascensoriali, per non parlare dell'after noon tea che da rituale doc richiede ben più di un'oretta mordi e fuggi. E dire che ho pure saltato il minitour guidato di un'ora tra cibo e nozioni del quartiere a Shoreditch. Shoreditch? Ah ma il giro di shopping al Terminal 5 non me lo perdo, e dopo uno scone alla clotted cream, un'insalata leggera al petto d'anatra con un bel calice di rosso, non me lo leva nessuno.

Tanto trambusto per cosa? Per dire di essere stata a Londra il sabato, se qualcuno dovesse mai chiedermi cosa abbia fatto nel weekend? Certo, gli risponderò sfinita dal lettuccio con la mia tazza di tè e qualche tachipirina sul comodino. Che sia un'impresa non c'è dubbio, ma che sia realizzabile da chiunque, magari in lastminute, risulta improbabile parecchio, di più se per affannarsi in corsa da un'attrazione (turistica!) all'altra. 

Vale ancora la pena di continuare a parlare così di Londra? Decideremo un giorno di sospendere i viaggi cartolina e relativi racconti da weekend e comunicare la vita che c'è nei luoghi che visitiamo? Londra non è disneyland. E' un posto di cui raccontare come viverci, non dove instagrammare tazzine di caffè o i fiori del parco. 
Con raccontini così non andremo lontano, soprattutto nutriremo orde di nuovi finti viaggiatori a consumarli quei luoghi preziosi, anziché viverli. 

Viaggi24, ripensaci

con affetto
@Londonjamfactor