Gli articoli si guardano, le fotografie si leggono (Arrigo Benedetti)







venerdì 27 luglio 2012

The Economist. Dove nasce il primo progetto urbano del Moderno
































Se c’è un edificio che da solo può sintetizzare il senso dell’urbanistica moderna e la sua svolta sostanziale degli anni Sessanta, questo è The Economist, pietra miliare dell’architettura progressista.

The Economist materializza il raffinato chic anni Sessanta e detta un nuovo format progettuale: la dialettica piazza-torre nella composizione urbana; un modello importato dagli schemi dei grattacieli delle città americane.

Tre torri diverse per altezza, dimensione e  ritmo delle facciate: una sede dell’Economist, una per uffici, la terza destinata a residenze. Le tre torri sono sistemate intorno ad una piccola piazza soprelevata, una sorta di acropolis, un podio urbano: l’impianto appare insieme articolato e monoblocco e risolve il rapporto con il contesto urbano in una armonia spaziale mai vista prima, in analoghi temi urbani. L’impianto è disposto ad “L” in ogni nodo-angolo della “L” è posizionata una torre. La più bassa ha 4 piani ed originariamente ospitava la banking hall; dietro, la torre di 15 piani è sede del giornale, la terza ad 8 piani è la torre delle residenze.

Neo-brutalismo, fu il termine usato dai progettisti per esprimere la scelta linguistica. Ovvero cemento prefabbricato e pietra di Portland (la “roch”: un tipo particolarmente ricco di fossili) trattati secondo una tessitura che dà una certa gentilezza, un’eleganza generale, all’impronta brutalista dell’insieme. La novità dell’Economist consiste nell’aver offerto un nuovo spunto progettuale fino ad allora disatteso: il valore dei “vuoti”, degli “spazi tragli edifici da trattare alla stessa stregua e con la stessa dignità e importanza degli interni e del loro aspetto esteriore. 































Conservativo e audace al tempo stesso, l’Economist, attivatore urbano, rompe (letteralmente) gli schemi –urbani, architettonici  e linguistici- letteralmente scompiglia con nuove regole, un contesto caratterizzato fino a quel momento da un impianto storico consolidato del XVIII sec. La nuova tipologia architettonica crea intorno spazi inaspettati, sia viari che pedonali. I tagli angolari sui volumi a terra, sui marciapiedi,  disegnano aree di sosta prima mai viste e riproducono in chiave moderna una tipologia di spazio che molto ha a che fare con gli scorci che ben conosciamo della città medievale.















































Se all’esterno la forza rivoluzionaria è ben evidente, l’organizzazione degli interni lascia posto ai residui nostalgici dell’ufficio tradizionale del “professional gentleman”: nessuna concessione ad “open spaces”, ad hall aperte e pianta libera. Lo studio della luce quello sì è tutto moderno e le ampie vetrate assicurano il massimo catturabile della luce diurna ad ogni piano.

































The Economist è l'opera che ha dato fama e riconoscimento assoluto agli Smithson (Peter e Alison).

Noti per la partnership insolubile, professionale -oltre che coniugale- e più ancora per aver incarnato insieme a pochi altri, la corrente del New Brutalism inglese, Alison e Peter si conobbero da studenti a Durham e si sposarono nel 1949. Furono assunti da Leslie Martin nel LCC e insieme aprirono un proprio studio. Fecero propri i principi del Moderno da Mies van der Rohe in poi e li sperimentarono per la prima volta con il progetto della Hunstanton School di Norfolk. In realtà ebbero pochi incarichi professionali importanti e compensarono l’impossibilità di esprimere idee con opere costruite, attraverso mostre, conferenze, scritti e manifesti. Al CIAM del 1953, insieme al Team 10, si opposero a chi teorizzava un Moderno "astratto". Il Moderno degli Smithson era in difesa dell'integrazione sociale e del rapporto importante tra l'architettura e le persone, che sembrava minacciato da un sistema teorico troppo enunciato e ancora poco verificato nella realtà delle città. 
Alison e Peter provarono a dimostrare quelle idee con il tema delle “Street in the Sky” ai Robin Hood Gardens. Ma quella è un'altra storia, romantica quanto sfortunata.

Qui importa un dato storico fondamentale: The Economist segna un prima e un dopo nella storia dell’Architettura Moderna. Alison and Peter Smithson scompigliano gli schemi consolidati del primo Movimento Moderno e lanciano alla riflessione urbanistica (e architettonica) un tema creativo e stimolante, ancora oggi.











































The Economist si trova al 25 di St. James's Street. 

mercoledì 25 luglio 2012

Wahaca pop-up. Southbank Experiment


Londra non è nuova all’uso dei container come luogo (progettato) da abitare: Container City -primo esempio in Trinity Buoy Wharf di Tower Hamlets- più volte reiterato, testimonia oggi, quanto nel tempo abbia funzionato l’idea che nel 2001 fece sorridere come alla vista di un giocattolo destinato a breve vita.  

Il pop-up restaurant commissionato da Wahaca a Softroom Architects testimonia (oggi) che l’uso dei box container è ormai invalso per assolvere le funzioni più disparate. E non fa certo sorridere "di compromesso”, anzi.

Il box container è apprezzato per la sua propria versatilità compositiva, come unità spaziale minima-indivisibile, per questo autosufficiente. Il container -con le sue dimensioni standard, immodificabili- diventa un “vincolo” creativo, un modulo progettuale bell’e pronto, da cui partire per lavorare sul tema dell’aggregazione più che sul dimensionamento geometrico dell’architettura. Inutile aggiungere che è economico, sostenibile e divertente.

Il risultato visibile –e attraversabile- nel ristorante di Wahaca a Southbank, lo testimonia appieno.
In soli due ordini sovrapposti di otto contaniner in blocchi paralleli, si sperimenta una sequenza di spazi e funzioni estremamente variegata, per attività e ambientazioni. Ci sono le sale ristorante al piano terra e c’è l’area lounge bar al primo piano, in terrazza e al coperto, attrezzata con sedute da living room nuove, e anche riciclate. Alle pareti murales di artisti messicani.
Un disimpegno centrale con copertura in vetro, collega le due file di container, accoglie il corpo scala e illumina l’insieme con luce naturale.  

I container colorati di Wahaca resteranno “agganciati” alla Queen Elizabeth Hall, a Southbank Centre, da Luglio a Settembre, pronti ad un nuovo “riciclo” in un altro luogo del mondo.





















































































































































































































































































































venerdì 20 luglio 2012

Design di prima emergenza e note di sopravvivenza urbana (anche per signore inglesi)



Hai presente quando ti si sbecca il sopratacco in gomma e poi quando cammini fa rumore? Ebbene io quel rumore lo odio. Le ladies inglesi invece, ne fanno gran baccano per strada, soprattutto quando vanno di fretta. Un ticchettare che ti mette ansia già da lontano, puoi anche non  girarti a vedere chi è che fa sfoggio di cotanto ritmo “foot made”, in percussione da marciapiede. Solo sentirla, la percussione, è sufficiente a bollare a vita, la/il percussionista, anche senza guardarla/o in faccia (e incenerirla/o)
Con le scarpe inglesi poi (diffidare a prescindere) non è necessario nemmeno aspettare che il tacchetto di gomma si sbecchi; le scarpe inglesi son tutte un rumore, di finte suole e finti tacchi che battono a terra come martelli. Mi chiedo sempre in che stato si ritrovino la schiena, una volta a casa, i percussionisti da marciapiede.

Dunque è chiaro: le scarpe col sopratacco sbeccato non le sopporto. I can’t stand it.

E allora potrebbe esserci un rimedio superfast, come quando porti in borsa un paio di calze nuove, in caso quelle che indossi ti si smaglino, (no perché anche le calze smagliate, tanto fashion, andrebbero –ovviamente- bandite, insieme alle portatrici di tacchi a percussione).

Veniamo al rimedio superfast. Basta andare da un ferramenta qualunque e chiedere dei tacchetti in gomma per sedie (si usano dai tempi del design anni Cinquanta). 




































































Lui –il signor ferramenta- chiederà di che misura li vuoi, i tacchetti. Qui suggerisco di misurare precedentemente il diametro del tacco (stiamo parlando di quelli a spillo), onde evitare di (ri)produrre lo sconcerto scolpito in faccia al (mio) sig. ferramenta quando gli ho mostrato lo stiletto dei sandali che avevo al piede. Di solito il diametro varia da un min 5mm a un max 1cm: chiediamo quelli, così evitiamo inutili discussioni. Non è necessario che il ferramenta sia d’accordo. Attenzione: è importante che il tacchetto aderisca perfettamente al tacco. Il dettaglio "architettonico" si gioca tutto nel non lascaire ombre o fessure nel contatto tra i due elementi. 

Ok, con i tacchetti di sostituzione in borsa puoi camminare quanto e dove vuoi. Sbeccata o saltata, la protezione in gomma non è più un problema: la sostituisci immediatamente incastrando il tacco nel tacchetto per sedie. Fenomenale. 

PS: è facile che la linea di slancio della scarpa possa risentire del nuovo attacco a terra progettato per le prime emergenze. Poi, quando hai tempo, passa dal calzolaio.