Se c’è un edificio che da solo può sintetizzare il
senso dell’urbanistica moderna e la sua svolta sostanziale degli anni Sessanta, questo è The Economist, pietra miliare dell’architettura progressista.
The Economist materializza il raffinato chic anni Sessanta e detta un nuovo format progettuale: la dialettica piazza-torre nella
composizione urbana; un modello importato dagli schemi dei grattacieli delle città americane.
Tre torri diverse per altezza, dimensione e ritmo delle facciate: una sede dell’Economist,
una per uffici, la terza destinata a residenze. Le tre torri sono sistemate
intorno ad una piccola piazza soprelevata, una sorta di acropolis, un podio
urbano: l’impianto appare insieme articolato e monoblocco e risolve il rapporto
con il contesto urbano in una armonia spaziale mai vista prima, in analoghi temi
urbani. L’impianto è disposto ad “L” in ogni nodo-angolo della “L” è posizionata una torre. La più bassa ha 4 piani ed originariamente ospitava la
banking hall; dietro, la torre di 15 piani è sede del giornale, la
terza ad 8 piani è la torre delle residenze.
Neo-brutalismo, fu il termine
usato dai progettisti per esprimere la scelta linguistica. Ovvero cemento
prefabbricato e pietra di Portland (la “roch”: un tipo particolarmente ricco di
fossili) trattati secondo una tessitura che dà una certa gentilezza,
un’eleganza generale, all’impronta brutalista dell’insieme. La novità dell’Economist consiste nell’aver offerto un nuovo spunto progettuale fino ad
allora disatteso: il valore dei “vuoti”, degli “spazi tra” gli edifici da
trattare alla stessa stregua e con la stessa dignità e importanza degli interni e del
loro aspetto esteriore.
Conservativo e audace al tempo stesso, l’Economist,
attivatore urbano, rompe (letteralmente) gli schemi –urbani, architettonici e linguistici- letteralmente scompiglia con nuove regole, un contesto caratterizzato fino a quel momento da un impianto
storico consolidato del XVIII sec. La nuova tipologia architettonica crea intorno
spazi inaspettati, sia viari che pedonali. I tagli angolari sui
volumi a terra, sui marciapiedi, disegnano
aree di sosta prima mai viste e riproducono in chiave moderna una tipologia di spazio che molto
ha a che fare con gli scorci che ben conosciamo della città medievale.
Se all’esterno la forza rivoluzionaria è ben evidente, l’organizzazione degli interni lascia posto ai residui nostalgici dell’ufficio tradizionale del “professional gentleman”: nessuna concessione ad “open spaces”, ad hall aperte e pianta libera. Lo studio della luce quello sì è tutto moderno e le ampie vetrate assicurano il massimo catturabile della luce diurna ad ogni piano.
The Economist è l'opera che ha dato fama e riconoscimento assoluto agli Smithson (Peter e Alison).
Noti per
la partnership insolubile, professionale -oltre che coniugale- e più ancora
per aver incarnato insieme a pochi altri, la corrente del New Brutalism
inglese, Alison e Peter si conobbero da studenti a Durham e si sposarono nel
1949. Furono assunti da Leslie Martin nel LCC e insieme aprirono un proprio
studio. Fecero propri i principi del Moderno da Mies van der Rohe in poi e li
sperimentarono per la prima volta con il progetto della Hunstanton School di
Norfolk. In realtà ebbero pochi incarichi professionali importanti e compensarono l’impossibilità di esprimere idee con opere costruite, attraverso mostre, conferenze, scritti e
manifesti. Al CIAM del 1953, insieme al Team 10, si opposero a chi teorizzava un Moderno "astratto". Il Moderno degli Smithson era in difesa dell'integrazione sociale e del rapporto importante tra l'architettura
e le persone, che sembrava minacciato da un sistema teorico troppo enunciato e ancora poco
verificato nella realtà delle città.
Alison e Peter provarono a dimostrare quelle idee con il tema delle “Street in the Sky”
ai Robin Hood Gardens. Ma quella è un'altra storia, romantica quanto sfortunata.
Qui importa un dato storico fondamentale: The Economist segna un prima e un dopo nella storia dell’Architettura Moderna. Alison and Peter Smithson scompigliano gli schemi consolidati del primo Movimento Moderno e lanciano alla riflessione urbanistica (e architettonica) un tema creativo e stimolante, ancora oggi.
The Economist si trova al 25 di St. James's Street.
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