Gli articoli si guardano, le fotografie si leggono (Arrigo Benedetti)







domenica 12 febbraio 2012

Maltby Street: la gang dei Bermondsey Seven e il ritorno al valore semantico del cibo



Fotoracconto del sabato mattina (ovvero come attraversare le foto per trovare il racconto)
 
A Londra si sa, fare la spesa, se vuoi farla “consapevole” evitando il supermercato, è come andare a  caccia: stessa ritualità, ritmi e concentrazione, e non significa per questo fare i radical-chic, o essere posh, come si dice da queste parti. È come andare a caccia per difesa, se ti distrai sei fatto. È un’attività riflessiva che richiede studio e una certa pianificazione: deciso l’articolo (carne, uova, pane, pesce o verdura che sia) procedi alla ricerca (bibliografica e sul campo) dei rivenditori di fiducia per poi da lì risalire ai produttori. Cacciatore esperto è colui il quale riesce a ricostruire una attendibile filiera produttiva. Ça va sans dire, più la filiera è corta e maggiore è il prestigio del Maestro di Caccia (l’antico Joint Master della caccia alla volpe di tradizione britannica).  Metafora venatoria a parte, al supermercato si va (o si ordina online) per l’innocuo e il non commestibile. Ma quando si tratta di cibo o sei “foodie” o lo diventi per necessità, poi le soddisfazioni sono parecchie, fai continue scoperte di posti, storie, persone e quel cibo finisce per diventare “nutrimento antropologico” per il corpo e per la mente. Fare la spesa diventa un’esperienza culturale entusiasmante, come succede da un po’ a Maltby Street. 



   


  



  



  Maltby Street è innanzitutto una strada, tranquilla, abbastanza defilata, anche se a due passi dal Tower Bridge/More London/London Bridge e quindi a un tiro di schioppo dal Borough Market, il tempio indiscusso dei mercati di alta qualità a Londra, almeno fino ad ora.  Strada defilata ma al centro, una congiuntura urbana tutt’affatto secondaria. Maltby Street corre a ridosso del viadotto ferroviario e si caratterizza proprio per la sequenza delle alte arcate-galleria in mattoni rossi (e neri di fuliggine) che sostengono quel viadotto.  Inizia come strada, poi diventa un lungo cortile semiprivato fra due cancelli, che si chiama Rope Walk. Qui cammini tra radiatori accatastati, materiali da costruzione dismessi, biciclette di modernariato tedesche e vecchie vasche da bagno, involontaria scenografia felliniana di una delle sedi londinesi di Lassco, noto antiquario. Ebbene tra i rottami e il nero degli archi non ancora ripuliti, al sabato mattina si sistemano bancarelle e postazioni temporanee di una nuova, articolata, geografia di “affiliati” al commercio etico e indipendente, quelli di Maltby Street appunto.
 


 


 
Il primo all’angolo è Monmouth Coffee Company Monmouth Coffee Company  (pare che abbia il caffè più buono al mondo) vende direttamente dal suo magazzino di torrefazione e invade il sottopasso di Tanner Street, di sbuffi bianchi al profumo di caffè tostato. Alla porta accanto c’è  40 Maltby Street con i vini biodinamici francesi e italiani di Gergovie Wines (di giovedì e venerdì sera si può anche cenare). Superato il cancello nero di Lassco si “inciampa” nel Biltong di Nick e Sarah Greeff che vendono carne essiccata dall’Isola di White (sabato scorso dal freddo Nick accompagnava il suo biltong con sorsi di brodo caldo dal thermos). La bancarella del tonno norvegese affumicato di Hansen Lydersen è accanto a Christ Church Fish, il pescivendolo del Dorset (che parla italiano): granchi freschi e pesca ecologica da Mudeford, se vuoi le vongole, gli mandi una email il giorno prima e lui al sabato te le porta. Insieme si riparano all'ingresso del deposito/showroom di Lassco. 



 
 


  


  


 
 



 


  Oh, a sinistra c’è Tozino, di Chuse Valero Orega, jamon pata negra di grande selezione affettato su richiesta da mani esperte direttamente da Teruel. Hola, Chuse, que tall!


  


  


  Superati gli archi-deposito bui di Lassco, che pure inquietano per l’assurdità di quella convivenza, in un unico store-gallery (che loro chiamano affettuosamente “my arch”) c’è The Butchery di Nathan MillsThe Ham&Cheese , Kernel, la birreria artigianale di Southwark, e la mozzarella di bufala della Piana del Sele. Prima del cancello c’è il salumaio dei Paesi Baschi. Più in là ancora c’è Mons dei formaggi francesi e Neils Yard Dairy dei formaggi  del Regno
 


  


   


   


  


 

 
Bene, a questo punto puoi tornare indietro e indugiare, o continuare lungo la linea degli archi fino ai Voyager Arches di Frean Street; in premio per i dieci minuti a piedi, la raclette di formaggio caldo, colato in blob sul pane, di Kappacasein (accanto c'è South East Fruits). In alternativa puoi svoltare a U su Druid Street dove c’è Topolski delle salsicce polacche e i formaggi svizzeri di Kaseswiss; Boerenkaas che vende Gouda; la carne buona di Jacob's Ladder Farms dalle fattorie biodinamiche in Kent, e Sussex; il fruttivendolo Thayshow Limited, che porta i “friarielli” direttamente dalla Campania; i dolci di Bea’s of Bloomsbury Bea's of Bloomsbury; il gulash di Reiner dall’Austria; gli olii aromatici di Catalan Cooking Catalan Cooking e, summa delle bakeries di Londra, il forno del pane (rigorosamente a pasta madre) di St. John. Le sue zeppole calde alla crema valgono uno svenimento istantaneo sul posto, con bava alla crema chantilly. Compiuto il giro hai voglia di ripeterlo e rifarlo ancora, sostare da tutti, parlare con tutti (dargli un bacio in fronte), per tornare al punto di partenza e chiederti se è tutto vero o son le prove del sabato di un circo di premiati saltimbanchi gastronomici.



   


   


  


  


  


  


 

 




Solo due anni fa quelli di Maltby Street erano in sette, nome alla nascita: Bermondsey Seven. Erano in sette, tacciati per dissidenti, quando furono sfrattati dal Borough Market macchiati della “colpa” di aver aperto luoghi di vendita anche altrove, nei magazzini di stoccaggio di Maltby Street appunto. Sfrattati senza preavviso, con una comunicazione perentoria al telefono. Troppo vicini al Borough Market, troppo alto il rischio che vengano soffiati via clienti.
La faccenda è seria, delicata. Altro che circo e saltimbanchi.
Nulla a che vedere col cibo, ma l’antefatto, e forse origine di tutto, è importante. Si tratta (ancora una volta?) di un progetto di riqualificazione urbana –intensiva-, nella fattispecie del potenziamento della rete ferroviaria in uno dei nodi infrastrutturali più importanti di Londra, se non dell’intero Regno Unito: la London Bridge Station. Un progetto necessario perché quando si verificano i “tappi” nel “collo di bottiglia” di quella stazione, i treni accumulano ritardi fino in Kent. Qui, binari provenienti dal sud (del mondo) diretti in ogni dove (cioè al nord), si intrecciano su viadotti possenti, poggiati su grandi arcate in mattoni rossi, o grigi, o ocra. Qui è cresciuta e ormai terminata (pronta per giugno) la Shard, torre per uffici e appartamenti più alta d’Europa (progettata da Renzo Piano) di cui non tutti qui in giro, hanno mai condiviso a pieno la necessità. Un luogo forte dunque, un urbano concentrato, non mi piace dire “cuore pulsante” ma questo pulsa assai.
Sotto quei ponti, sotto il rullare dei treni, si svolge da circa trecento anni (se ne ha notizia dal 1276, c'è chi lo fa risalire al tempo dei romani) il mercato più grande e noto di Londra in quanto a cibo di alta qualità (certificata) di provenienza locale, dai contadini del Regno, e globale, dalle cucine del mondo. Un luogo splendido (chissà un giorno mi deciderò a scrivere quanto mi piace). Qualità e fama indiscussa a parte, il Borough Market negli ultimi anni sta diventando vittima del suo successo. Orde di turisti compatti in corpo unico, si svolgono in lenta processione "ondiva" in nome di San Cibo. Di qua la macchina fotografica, di là il braccio telescopico attrezzato con mano prensile su invitanti bocconcini, concentrato di ogni prelibatezza bio: formaggi, prosciutti, spiedini, pane, pesce arrosto, dolci, vini, salsicce.. Insomma, sotto quegli archi, al sabato mattina i turisti cheap/chic si travestono da degustatori esperti per assicurarsi un pasto free. Non inneggiano a canti food-religion solo perché hanno la bocca piena. Catturate in quelle foto oltre a mele, pere, zucche e funghi in bella mostra, i food-tourist portano a casa anche le facce dei commercianti, trattati più o meno alla stregua di scimmie allo zoo, fenomeni da baraccone-bancarella.
Quelle facce da un po’ esprimono una piega di disappunto profondo. Tutti passano nessuno compra. Chi abita in zona e ha voglia di far la spesa è dissuaso dall’affollamento: stai lì in fila ad aspettare il tuo turno e poi ti accorgi che quelli davanti a te stavano solo fotografando il banco del pesce. Gli affitti aumentano, le aree di stoccaggio scarseggiano, come pure i parcheggi e le attrezzature di servizio alla vendita e alla logistica. Le prospettive di “riqualificazione” generale sembrano spingere all’estinzione le bancarelle un po’ sciatte ma vere dei contadini –veri-, per sostituirle con stand tutti uguali finto country, con venditori, finto contadino. Il fantasma della riconversione in cartolina turistica stile Covent Garden, Camden, Spitalfields o Leadenhall incombe minaccioso.
Molti dei commercianti del Borough Market posseggono magazzini di stoccaggio sotto gli archi di Bermondsey, dove la temperatura è abbastanza bassa per la conservazione dei cibi e c’è davvero tanto spazio perché sono come delle grandi gallerie (e ne conservano un fascino irresistibile). Sono gli archi di Maltby Street e Rope Walk. Anche qui rullano i treni in corsa e rimbomba tutto mentre compri il pane da St. John o bevi una birra da Kernel. Ma qui c’è qualcosa che al Borough Market forse non c’è più. C’è come un riappropriarsi del senso delle cose, si dà un volto, un nome, una storia a quello che altrove è lo scambio commerciale tout court. C’è il tempo di ragionare sulle cose, di raccontare da dove vengono, perché sono lì, e di lasciar trapelare così pezzi di vita reciproca. Così conosci Chuse di Tozino che ti racconta di com’è cresciuto a pane e prosciutto, non quello più salato pata negra, stagionato al sud dove c’è il mare, ma quello più dolce dell’entroterra, di Teruel. Ti dice che ormai quel sapore è registrato nelle sue papille da bambino. Conosci Nathan The Butcher, macellaio indipendente orientato alla sostenibilità di un mestiere difficile per chi ama gli animali. Nathan che chiude i pacchetti con lo spago, si rifornisce da piccoli allevatori, seleziona soltanto pochi capi, e tiene corsi serali per insegnare i trucchi del butcher; ha un blog, e su twitter parla di etica della semina, di come preparare i campi di pascolo. Su twitter puoi chiedergli in tempo reale cos’ha di buono l’indomani o di prepararti qualcosa che ti piace in particolare. Su twitter ti annuncia che in settimana gli nascerà un figlio, non per outing ma per dirti che forse sabato non sarà a Maltby Street ma troverai i suoi fratelli a sostituirlo. La parte buona della tecnologia sostenibile: partecipare, condividere, interagire (se ti va). Il telefono non serve più.
Tutto un altro mondo a Maltby Street, tutto torna ad essere più vero, nessuna preoccupazione per l’immagine, i turisti sono tutti al Borough Market. L’ansia da super affollamento, le gomitate e la confusione, lì poco consone alla spesa del sabato mattina, qui lasciano spazio ad una passeggiata rilassante, come in un villaggio di campagna. Non c’è compiacimento né retorica, nessuna dissertazione dotta sul dio Cibo, nessuna spettacolarizzazione. Se il cibo ha un ruolo a Maltby Street forse è quello di creare comunità e socializzazione, una sorta di tribù.  Ti intendi al primo sguardo: siamo in zona protetta, non è più necessario andare a caccia.
Eccoli i sette sfrattati di Bermondsey Seven
1 Kappacasein
2 The Borough Cheese Co.
3 The Ham and Cheese Co.
4 Hophurst Farm/Rennet and Press
5 Kaseswiss
6 Mons
7 Topolsky





1 commento:

  1. Direi che qui si palesa la "food passion" della padrona di casa, che va a caccia di storie per "condire" le sue ricette ;)
    Per quanto riguarda il lato architettonico/urbanistico della faccenda è piuttosto spiacevole sapere che una delle parti più interessanti e autentiche della città si stia trasformando in suo vuoto simulacro a causa dell'ennesima operazione da archistar; per fortuna Southwark va molto oltre(in tutti i sensi) il suo Bankside e i germogli di una più autentica riqualificazione possono ri-attecchire qualche passo più in là....

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