Gli articoli si guardano, le fotografie si leggono (Arrigo Benedetti)







martedì 22 luglio 2014

Marina Abramoviç 18th July 2014 Friday 2.30 pm



Tre stanze. Nella prima, centrale: sedie, in due file intorno ad una pedana a riquadri. Nella seconda, a destra: letti in due file, come in ospedale, lettini da campo con copertina. Nella terza, a sinistra: nulla, lì si cammina. Per passare da una stanza all'altra occorre attraversare necessariamente la zona centrale, quella con la pedana. Lì c'è un po' di via vai. 
All'ingresso bisogna disfarsi di ogni cosa, borse, orpelli, fotocamera e telefono ovviamente. C'è un armadietto, ci si mette tutto dentro. E si va. In anticamera una signora offre una cuffia, di quelle grosse, col cuscinetto all'orecchio. Conviene indossarla.
Appena dentro, cercare di capire, e consegnarsi alla performance, è istinto immediato. Nonostante letture, informazioni e ricerche sulla nuova performance di Marina Abramoviç, tutto si annienta per cercare e rispondersi con l'aiuto del solo mezzo a disposizione: se stessi, la propria percezione. Dunque una performance diversa per ogni visitatore. Ognuno se la vive a suo modo. 
Il pubblico è misto dalla ragazzina quindicenne, riccioli rossi, che ronfa nel lettino subito a destra entrando nella sala dei letti; alla signora circaottantenne che si balla un pezzo in solitudine, ferma al suo posto. Musica immaginaria, dal momento che in cuffia non passa alcun suono; serve all'isolamento. Poi la coppia di coniugi sessantenni. Seduti ai due opposti della pedana. Lui nordico piacente, atletico, sguardo intelligente. Lei nordica sfiorita. Rigorosamente scompigliata e grigia. Si guardano a lungo. Ammiccano sguardi maliziosi. Lei esplicita, lui imbarazzato dall'esplicito di lei. Lei si alza, fa il giro della pedana, lo raggiunge, gli si siede accanto. Gli poggia una mano sull'interno coscia e accarezza. Accarezza. Accarezza. Sempre più decisa. Con trasporto. Lui progressivamente imbarazzato. Ad ogni carezza le sorride gentile, le ferma la mano. Lei gli va più vicino, testa sulla spalla, non smette di accarezzare. Lo sguardo sembra dire "non sono io, è l'effetto dell'arte".
Le sedie intorno alla pedana sono quasi tutte occupate. Molti come me, si guardano intorno, alla ricerca di un coinvolgimento che non arriva. Molti sono immobili occhi chiusi, sorriso di beatitudine incorporato. Ma finto. Chi sale sulla pedana invece, sembra aver capito tutto. Occhi rigorosamente chiusi, postura da danza, spalle aperte, braccia morbide lungo il corpo. Restano lì. Finché gli va. In coppia per mano. Mano sul cuore (dell'altro). O da soli.
Nella stanza dei lettini c'è poco da assistere. E nel lettino non ci sono entrata. Sebbene col caldo di venerdì un po' di relax al fresco sarebbe stato perfetto. L'atmosfera era terapeutica. Ospedale, pronto soccorso, clinica della mente o cosa, terapeutica senz'altro.
Infine la stanza del cammino. Possibilmente da scalzi. Ci si dispone in fondo e, passetto (in linea) dopo passetto si raggiunge la parete opposta. Se riesce, anche qui, un portamento da danza contemporanea, spalle-aperte-braccia-morbide-lungo-il-corpo, il gioco è fatto. Occhi chiusi, ovviamente.
Cercavo Marina, di gente ce n'era, ma non la vedevo. 
Cercavo la Marina della performance al MOMA quando trascorse 3 mesi seduta immobile ad un tavolo, a cui si avvicendava gente qualunque, per vivere un'esperienza unica, solo incrociando i suoi occhi. 
La Marina che mette in gioco il suo corpo, come arte, 'my body, my performance' , perché accedere all'arte, anche da spettatori, è mettersi in gioco. 
La Marina di Imponderabilia, di The Lovers, i novanta giorni a piedi per raggiungere la muraglia cinese e dirsi addio con Ulay, compagno di vita e di arte.
Cercavo la Marina di The Artist is Present, la persona e lo sguardo che rivede Ulay dopo 23 anni, quando va sedersi a quel tavolo per incontrarla. 
Ero entrata per mettermi in gioco. Carta bianca assorbente. Mi son trovata in una fiera di vanità, uno starci per dire io c'ero. 

Sentire è altro.  

Così sono tornata fuori ed ho chiesto, prima alla signora delle cuffie, poi ad un figuro che sembrava saperne di più.

"Certo, Marina c'è, ma è fuori per il lunch".    
























 

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